Paolo Masi (Firenze, 1933) rappresenta una delle voci più coerenti e rigorose dell’analisi pittorica e concettuale in Italia dagli anni Sessanta a oggi. La sua opera, sviluppata in oltre sei decenni di ricerca, esplora la relazione tra materia, luce e spazio, intesa come processo conoscitivo e percettivo.
Fin dagli esordi, Masi rifiuta l’idea del quadro come finestra illusoria, preferendo indagare la pittura nella sua fisicità costruttiva. Utilizza materiali poveri o industriali — cartone, carta, plexiglass, tela grezza, legno — per evidenziare la dimensione concreta dell’opera e le sue reazioni alla luce e al tempo. Ogni intervento è minimo ma preciso: tagli, piegature, stratificazioni, velature cromatiche. L’opera nasce come processo aperto, più che come oggetto concluso.
Negli anni Settanta Masi partecipa all’esperienza del gruppo Zona, a Firenze, dedicandosi a progetti collettivi e operazioni urbane che mirano a democratizzare l’arte e a ridefinire il rapporto tra opera e contesto. Parallelamente, la sua indagine individuale si concentra sul tema della superficie come campo sensibile, dove luce e colore interagiscono in modo diretto con la percezione dello spettatore.
La pittura diventa così atto analitico, un mezzo per interrogare la visione stessa. Nei suoi lavori più recenti, Masi approfondisce la trasparenza e la stratificazione, combinando rigore geometrico e sensibilità empirica. La sua ricerca, pur vicina all’Arte Povera per l’uso dei materiali, conserva un’impronta analitica e fenomenologica, orientata all’esperienza dello spazio e alla percezione come forma di conoscenza.
Nel suo percorso, la pittura non è mai decorazione ma pensiero visivo, luogo di equilibrio tra materia, luce e tempo.